domenica 3 aprile 2011

Indicazioni generali: i giradischi digitali o CD player

Il lettore di compact disc compare in Italia agli inizi degli anni ‘80 e doveva essere la pietra tombale della riproduzione analogica. Via gli ingombranti e obsoleti vinili, sostituiti da allegri dischetti argentati comodi nell’uso e indistruttibili, senza i problemi dei dischi e con risposta in frequenza e rumori di fondo ineguagliabili. In altre parole la realizzazione di un sogno di tutti gli audiofili.
Il lettore cd è un apparecchio che legge dischi registrati in formato digitale.I primi avevano processori da 16 db con sovraccampionamento 4, oggi vengono utilizzati processori bitstream oppure altri tipi da 24 db con sovraccampionamento 8.
Generalmente mi disinteresso di questo genere di oggetti, ma per esperienza posso dire che, anche se teoricamente suonano tutti uguale, in effetti le differenze soniche sono drammatiche. Certo in ciò influisce il prezzo ma anche come è stato realizzato l’apparecchio e il tipo di uscita.
In genere vale il discorso fatto per i giradischi ed un po’ per tutti i componenti hifi: diffidare delle realizzazioni che pesano poco. Ciò non significa che siano fregature, ma che possano essere oggetto di troppe attenzioni per farli suonare al meglio. Inoltre, al di là dei processori di conversione del segnale, una meccanica ben realizzata è indispensabile per ottenere prestazioni costanti e durature nel tempo, oltre che migliori da un punto di vista musicale; uno chassis con una buona meccanica ha un certo peso.
Le differenze tra i lettori sono dovute al modo di caricamento del dischetto, all’uso di una meccanica più o meno valida, ai processori di segnale utilizzati e se l’uscita è a valvole o transistor.
I lettori cd come tutte le cose costruite dagli uomini non sono eterni. Col tempo la lente da cui passa il raggio laser che serve alla lettura e l’apparato stesso, tendono a consumarsi e quindi a morire. L’unica soluzione in questo caso è gettare l’apparecchio e comprarne un altro, con grande gaudio dei rivenditori, che potranno proporti novità che suonano un pelino meglio, ad un prezzo molto salato.
 

Indicazioni generali: la testina

La testina è quell’oggettino delicato e del peso di pochi grammi, senza la quale la musica di un disco non può essere ascoltata. La prima cosa da chiedere ad una testina è che la sua costruzione sia robusta, non importa se in metallo, legno o plastica, ma non può essere quella di una giapponese che un tempo acquistai nuova a prezzo stracciato perché fuori produzione, e che, appena presa tra le dita, si incrinò facendo partire addirittura un pezzettino di plastica.
Le testine si dividono in due categorie: le MM e le MC. Si tratta di due sistemi differenti con cui esse trasmettono le vibrazioni dei solchi dei dischi e quindi il suono al preamplificatore. Le prime hanno una uscita più elevata (3 - 6 mv 5cm/s) le altre più bassa (0,1 - 0,5 mv 5cm/s). Da alcuni anni le ditte producono anche MC con uscita molto elevata (fino a 2,5 mv 5cm/s), ma a me, che sono figlio dell’hifi anni ’70, queste trovate sembrano vacue, e una MC con oltre 0,8 mv 5 cm/s non è una MC.
Nella scelta, importante è il taglio della puntina che per esperienza personale è opportuno che sia di tipo ellittico o suoi derivati (shibata, iperelittico, fine line, Van der Hull, ecc.), poichè riesce a raccogliere più informazioni dai solchi dei dischi in vinile (polvere compresa).
 
Esistono testine ad alta o bassa cedevolezza. Generalmente le prime sono le MM che leggono con un peso di non oltre 1,8 gr., mentre quelle a bassa cedevolezza sono normalmente le MC che abbisognano di un peso di lettura tra 1,7 e 5 gr. Legata alla cedevolezza delle testine è la massa del braccio, che deve essere bassa e mediobassa per le MM, media o alta per le MC.
Esistono MC come la Denon DL 103 che, se non montate su bracci pesanti, non esprimono appieno le loro potenzialità e musicalità.
Importante è poi acquistare una testina di peso compatibile con quello richiesto dal braccio, pena la non possibilità di equilibratura o la necessità di un ulteriore contrappeso al braccio, o di un pesetto da inserire tra la testina e lo shell. Queste sono circostanze che se non valutate, inficiano pesantemente le prestazioni braccio-testina.
 

sabato 2 aprile 2011

Indicazioni generali: il braccio del giradischi

Il braccio ha la funzione di far leggere al meglio la testina e quindi è indispensabile che sia ben progettato e realizzato. L’articolazione è generalmente a cuscinetti a sfera o unipivot ed è costruito normalmente in lega di alluminio o carbonio, materiali che garantiscono una buona rigidità e bassa risonanza.
Per combattere la forza centripeta che si manifesta quando la puntina legge i solchi del disco, il braccio è fornito di antiskating che può essere a molla, a peso e raramente magnetico. La forma del braccio oggi è quasi sempre dritta, alcuni sono a S e rarissimi sono a J. Ne esistono anche di tangenziali che hanno il pregio di avere un errore radiale di lettura teoricamente assente e spesso sono privi di antiskating, poichè la testina è inserita in una specie di slitta perpendicolare al disco e ne segue il raggio durante la lettura.
I santoni dell’hifi hanno ripetuto per anni e anni che il portatestina deve essere integrato nel braccio dove la testina deve essere fissata direttamente, in quanto il vecchio attacco EIA produce delle risonanze. Fortunatamente, dopo anni di sussiego a questa parola d’ordine, alcuni produttori hanno ricominciato a proporre questo componente con attacco EIA, per la felicità di un popolo che si era veramente rotto le palle di pagliuzze (in cui inserire i terminali delle testine) dissaldate, saldate scorrettamente o con i fili elettrici spezzati.
Negli anni ’70 e primi ’80 i bracci erano quasi tutti ad S (facevano eccezione quelli montati sui Dual e sui Thorens), successivamente e fino alla metà del primo decennio del 2000 divennero quasi tutti dritti, e oggi cominciano a riapparire quelli ad S.
Tra la metà degli anni 70 e la metà degli 80, era bene che il braccio fosse di massa leggera come lo SME III series, poi cambiarono i gusti e l’esigenza divenne la pesantezza.Oggi, è bene che abbia una massa tra i 9 e i 12 grammi. Siamo soggetti alla moda e schiavi delle parole di qualche guru imbonitore.

Indicazioni generali: il giradischi


Attualmente i giradischi in produzione sono a cinghia e a trazione diretta, poi ci sono quelli a telaio sospeso oppure rigido, con automatismi o senza, con braccio già compreso oppure con braccio da montare di marca specializzata.
Al di là di quello che offre il mercato, il giradischi deve essere silenzioso nel funzionamento, costante nel numero dei giri e in grado di essere il più insensibile possibile alle vibrazioni esterne. Dal mio personale punto di vista,un giradischi non dovrebbe essere automatico (in quanto gli automatismi sono soggetti a vibrazioni e quindi a rumore), tutt’al più avere lo stop a fine disco.
Un buon giradischi si giudica anche dal peso, e quindi è meglio diffidare di quelli che pesano poco perché significa che il piatto pesa poco.Un piatto pesante è garanzia di linearità e costanza della velocità di rotazione, ha un effetto volano e si arresta, quando spento il giradischi, lentamente.
Il motore deve essere robusto ma soprattutto affidabile e garantire, anche tramite servocontrollo, costanza delle velocità di 33 e 45 giri.Anche il telaio dove appoggia lo chassis, deve essere robusto e con frequenza di risonanza bassa al fine di non sporcare il messaggio musicale.
Per esperienza personale il telaio flottante è molto meglio che abbia come piedini delle punte coniche in acciaio, mentre il telaio rigido può trovare il suo sostegno su piedoni di sorbhotane.
Per quanto riguarda la trazione, quasi tutti scrafiano quella diretta, ma secondo me se il giradischi è ben costruito e giustamente pesante, non ha nulla da invidiare a quello a cinghia.
Resto del parere che il vendutissimo giradischi Technics SL 1200 utilizzato in molte discoteche, sia una ottima alternativa a tanti blasonati nomi del settore e con un ottimo rapporto qualità prezzo.Inoltre, per l’alto numero di pezzi venduti, anche l’assistenza e i ricambi saranno garantite per anni.

domenica 27 marzo 2011

La catena hi-fi di oggi

Ritorniamo a noi. Oggi al posto del giradischi vi è il lettore cd e o sacd o il dvd audio, registratori a cassetta e tuner sono scomparsi e forse hanno lasciato il posto a riproduttori MP 3 o ad Ipod.
Per anni le riviste hanno affermato che il componente più importante della catena di ascolto erano i diffusori. Poi i costruttori e giornalisti inglesi e americani hanno cominciato a dire che il più importante era il giradischi (la fonte di partenza del messaggio sonoro).
Io sono dell’avviso che tutti i componenti siano importanti perché lavorano in sinergia tra loro, e il risultato finale deve essere l’appagamento del fruitore della musica.
Sempre da Oltremanica, è venuta e per molti aspetti è ancora presente, l’idea che i minidiffusori siano il non plus ultra per ascoltare bene la musica. Secondo me, molto dipende dall’ambiente di ascolto.
Se non è ampio può essere indispensabile ascoltare con scatolette che hanno delle note basse ignobili ma
riproducono un suono trasparente (vorrei vedere se non lo fosse…), ma se una persona vuole un po’ confondersi e avere una sinergia ben amalgamata, può acquistare diffusori di dimensioni non lillipuziane.
 Coloro che ascoltano in ambienti da medio piccole a grandi dimensioni, possono rivolgersi a diffusori di grandezza adeguata, che tramite la voce dei loro altoparlanti, daranno tante e notevoli soddisfazioni, e allieteranno di ore ed ore di buona riproduzione le orecchie dei fruitori.

Il mio primo impianto

L’impianto base, fino all’avvento del cd, era composto da giradischi con relativa testina, amplificatore integrato o pre e finale e casse acustiche.A questo si aggiungevano sintonizzatore e registratore a cassette.
Ricordo ancora il mio primo impianto: era composto da piatto Lenco B55 con testina Shure M44, amplificatore Augusta da 25 watt per canale, registratore Jvc 1740 a caricamento orizzontale e cuffia Sennhaiser HD 414. Le casse erano quelle del compatto Lesa, inserite in un box piu’ grande insieme ad un altro altoparlante a larga banda.
Era bello sentire suonare i pochi dischi in maniera indistorta e più forte. Non era niente di particolare, anzi, era un impianto modesto, ma era soprattutto un desiderio esaudito. Ricordo che l’idea base era quella di fare un impianto di soli apparecchi italiani.
Per quanto riguarda il giradischi, era una scelta obbligata poichè la Lenco era l’unica marca italiana che produceva questi oggetti, per gli amplificatori esistevano gli Studio Hifi, gli Steg, gli RCF, i Galactron, gli Hirtel, i Lenco e pochi altri nomi, ma avevano la caratteristica di non essere presenti nei negozi della mia città, o di costare troppo, e quindi di superare il budget da me previsto per gli acquisti, che non doveva superare le 500.000 lire. Alla fine ne spesi 460.000, 20.000 in meno rispetto all’acquisto di un piccolo televisore a colori della Grundig che all’epoca era un best seller della categoria.
A quell’epoca nacque l’idea che chi non aveva un televisore a colori era un morto di fame, infatti tutte la famiglie avevano questo moderno elettrodomestico in bella vista e ne osannavano colori e cromatismi che venivano riprodotti, apparendo ai miei occhi come artificiali e sparati.
In ogni modo fino all’estate del 1986 avevo il mio televisorone in bianco e nero a valvole regalato nel 1976 a mia madre da una amica di famiglia e dall’86 in poi posseggo ancora da qualche parte, ma egregiamente funzionante, il mio primo tv color Panasonic da 22 pollici con cui è cresciuto mio figlio.
 

Riviste e categorie di audiofili

Riviste specializzate, ne ho acquistate e lette moltissime. 
All’ inizio leggevo Stereoplay, poi aggiunsi anche Hifi musica e Suono.Morta Hifi musica, uscì in edicola Hifi e in seguito Superstereo, infine nel 1981 Audioreview. Dopo diversi anni e decessi di riviste, nacque Fedeltà
del Suono e poi Stereo. Oggi le riviste rimaste sono tre, e quella che compro qualche volta, in particolare le sue guide, è Fedeltà del Suono.
Ciò che è rimasto si contende un mercato di poche decine di migliaia di affezionati, un numero irrisorio rispetto alle vendite della fine anni ‘70 primi ‘80, quando le tirature delle riviste superavano, per talune, 120.000 copie e potevano aprire anche uffici all‘estero.
L’hifi è ormai una passione di nicchia. E’ un mercato che è stato distrutto sia dalle riviste che dai distributori e rivenditori di apparecchi.
La sbornia hifi, ha visto costruttori sparire dopo pochi anni di attività. Riviste che pubblicizzavano e provavano prodotti, anche di scarsa qualità, ma dal rapporto qualità/prezzo sempre strepitoso. Era un mercato fatto di tanti zeri dopo la virgola, privo di distorsioni ma povero di suono.
 I grandi marchi giapponesi che avevano competenze tecnologiche enormi e bassi costi produttivi, durante l’anno potevano cambiare anche due volte i propri apparecchi in listino, o meglio ne cambiavano la sigla e l’aspetto estetico. Coloro che si salvavano da questo turbinio di cambiamenti erano pochi nomi tra cui Accuphase, Denon, Luxman, Stax e pochi altri.
Tutte le riviste non facevano che mietere elogi degli apparecchi in prova, i rivenditori vendevano hifi come se fosse prosciutto non garantendo un minimo di assistenza. Se un amplificatore smetteva di funzionare era meglio buttarlo e comprarne uno nuovo, certamente molto ma molto meglio del precedente, perché con meno distorsione o accoppiato in DC.
Funzionava cosi’, un po’ come oggi quando si tratta di computer o televisori. 
Dopo l’indigestione dei numeri, qualcuno cominciò a parlare di suono e così questo mondo si divise tra “ascoltoni” e i “misuroni”. I primi davano credito solo all’ascolto, i secondi ritenevano le misure e i dati fondamentali per un buon suono.
Ricordo un vecchio numero di SUONO dove si parlava estremamente bene di un integrato JVC con misure eccellenti e male di un preamplificatore Quad con pessimo risultato relativamente alle distorsioni. Peccato che il JVC, dopo un anno, sia scomparso dal listino e che il QUAD vi sia rimasto più di dieci anni: probabilmente gli acquirenti (e ancora felici possessori) hanno valutato che il suono dell’inglesino non sia stato molto male.
 
Con gli ascoltoni fecero la loro apparizione anche i “guru”, per i quali tutto ciò che era costruito in Giappone aveva un suono scarso, mentre ciò che era prodotto in Inghilterra o negli USA era eccellente. Guru che partivano dall’assioma che un impianto hifi deve costare per suonare bene (con tutto lo strascico dell’hifi end), gli stessi che per ascoltare una catena audio usavano gli accessori più allucinanti, gli accorgimenti più ingegnosi, e tutti col comune denominatore di essere piuttosto costosi. Ascoltare un impianto era quasi una esperienza mistica.
 
I tempi sono un po’ cambiati ed oggi misuroni ed ascoltoni hanno fatto pace e convivono abbastanza felicemente, forse anche perché il mercato si è fortemente ridotto.
In ogni modo per gli ascoltoni il rapporto qualità/prezzo è un indice di scarsa rilevanza.
Dire che un oggetto da 10.000 euro ed oltre ha un prezzo competitivo per come suona, è un' offesa al buon gusto e alla sensibilità della gente. E’ sufficiente dire “suona bene” (vorrei vedere…..) e con questo evitare inutili sproloqui, anche perché, sia chiaro, l’ascolto è legato a sfumature, poichè anche il medesimo oggetto da 500 euro riproduce la musica e la porge sicuramente in maniera differente, ma la sua funzione la svolge.