domenica 3 aprile 2011

Indicazioni generali: i giradischi digitali o CD player

Il lettore di compact disc compare in Italia agli inizi degli anni ‘80 e doveva essere la pietra tombale della riproduzione analogica. Via gli ingombranti e obsoleti vinili, sostituiti da allegri dischetti argentati comodi nell’uso e indistruttibili, senza i problemi dei dischi e con risposta in frequenza e rumori di fondo ineguagliabili. In altre parole la realizzazione di un sogno di tutti gli audiofili.
Il lettore cd è un apparecchio che legge dischi registrati in formato digitale.I primi avevano processori da 16 db con sovraccampionamento 4, oggi vengono utilizzati processori bitstream oppure altri tipi da 24 db con sovraccampionamento 8.
Generalmente mi disinteresso di questo genere di oggetti, ma per esperienza posso dire che, anche se teoricamente suonano tutti uguale, in effetti le differenze soniche sono drammatiche. Certo in ciò influisce il prezzo ma anche come è stato realizzato l’apparecchio e il tipo di uscita.
In genere vale il discorso fatto per i giradischi ed un po’ per tutti i componenti hifi: diffidare delle realizzazioni che pesano poco. Ciò non significa che siano fregature, ma che possano essere oggetto di troppe attenzioni per farli suonare al meglio. Inoltre, al di là dei processori di conversione del segnale, una meccanica ben realizzata è indispensabile per ottenere prestazioni costanti e durature nel tempo, oltre che migliori da un punto di vista musicale; uno chassis con una buona meccanica ha un certo peso.
Le differenze tra i lettori sono dovute al modo di caricamento del dischetto, all’uso di una meccanica più o meno valida, ai processori di segnale utilizzati e se l’uscita è a valvole o transistor.
I lettori cd come tutte le cose costruite dagli uomini non sono eterni. Col tempo la lente da cui passa il raggio laser che serve alla lettura e l’apparato stesso, tendono a consumarsi e quindi a morire. L’unica soluzione in questo caso è gettare l’apparecchio e comprarne un altro, con grande gaudio dei rivenditori, che potranno proporti novità che suonano un pelino meglio, ad un prezzo molto salato.
 

Indicazioni generali: la testina

La testina è quell’oggettino delicato e del peso di pochi grammi, senza la quale la musica di un disco non può essere ascoltata. La prima cosa da chiedere ad una testina è che la sua costruzione sia robusta, non importa se in metallo, legno o plastica, ma non può essere quella di una giapponese che un tempo acquistai nuova a prezzo stracciato perché fuori produzione, e che, appena presa tra le dita, si incrinò facendo partire addirittura un pezzettino di plastica.
Le testine si dividono in due categorie: le MM e le MC. Si tratta di due sistemi differenti con cui esse trasmettono le vibrazioni dei solchi dei dischi e quindi il suono al preamplificatore. Le prime hanno una uscita più elevata (3 - 6 mv 5cm/s) le altre più bassa (0,1 - 0,5 mv 5cm/s). Da alcuni anni le ditte producono anche MC con uscita molto elevata (fino a 2,5 mv 5cm/s), ma a me, che sono figlio dell’hifi anni ’70, queste trovate sembrano vacue, e una MC con oltre 0,8 mv 5 cm/s non è una MC.
Nella scelta, importante è il taglio della puntina che per esperienza personale è opportuno che sia di tipo ellittico o suoi derivati (shibata, iperelittico, fine line, Van der Hull, ecc.), poichè riesce a raccogliere più informazioni dai solchi dei dischi in vinile (polvere compresa).
 
Esistono testine ad alta o bassa cedevolezza. Generalmente le prime sono le MM che leggono con un peso di non oltre 1,8 gr., mentre quelle a bassa cedevolezza sono normalmente le MC che abbisognano di un peso di lettura tra 1,7 e 5 gr. Legata alla cedevolezza delle testine è la massa del braccio, che deve essere bassa e mediobassa per le MM, media o alta per le MC.
Esistono MC come la Denon DL 103 che, se non montate su bracci pesanti, non esprimono appieno le loro potenzialità e musicalità.
Importante è poi acquistare una testina di peso compatibile con quello richiesto dal braccio, pena la non possibilità di equilibratura o la necessità di un ulteriore contrappeso al braccio, o di un pesetto da inserire tra la testina e lo shell. Queste sono circostanze che se non valutate, inficiano pesantemente le prestazioni braccio-testina.
 

sabato 2 aprile 2011

Indicazioni generali: il braccio del giradischi

Il braccio ha la funzione di far leggere al meglio la testina e quindi è indispensabile che sia ben progettato e realizzato. L’articolazione è generalmente a cuscinetti a sfera o unipivot ed è costruito normalmente in lega di alluminio o carbonio, materiali che garantiscono una buona rigidità e bassa risonanza.
Per combattere la forza centripeta che si manifesta quando la puntina legge i solchi del disco, il braccio è fornito di antiskating che può essere a molla, a peso e raramente magnetico. La forma del braccio oggi è quasi sempre dritta, alcuni sono a S e rarissimi sono a J. Ne esistono anche di tangenziali che hanno il pregio di avere un errore radiale di lettura teoricamente assente e spesso sono privi di antiskating, poichè la testina è inserita in una specie di slitta perpendicolare al disco e ne segue il raggio durante la lettura.
I santoni dell’hifi hanno ripetuto per anni e anni che il portatestina deve essere integrato nel braccio dove la testina deve essere fissata direttamente, in quanto il vecchio attacco EIA produce delle risonanze. Fortunatamente, dopo anni di sussiego a questa parola d’ordine, alcuni produttori hanno ricominciato a proporre questo componente con attacco EIA, per la felicità di un popolo che si era veramente rotto le palle di pagliuzze (in cui inserire i terminali delle testine) dissaldate, saldate scorrettamente o con i fili elettrici spezzati.
Negli anni ’70 e primi ’80 i bracci erano quasi tutti ad S (facevano eccezione quelli montati sui Dual e sui Thorens), successivamente e fino alla metà del primo decennio del 2000 divennero quasi tutti dritti, e oggi cominciano a riapparire quelli ad S.
Tra la metà degli anni 70 e la metà degli 80, era bene che il braccio fosse di massa leggera come lo SME III series, poi cambiarono i gusti e l’esigenza divenne la pesantezza.Oggi, è bene che abbia una massa tra i 9 e i 12 grammi. Siamo soggetti alla moda e schiavi delle parole di qualche guru imbonitore.

Indicazioni generali: il giradischi


Attualmente i giradischi in produzione sono a cinghia e a trazione diretta, poi ci sono quelli a telaio sospeso oppure rigido, con automatismi o senza, con braccio già compreso oppure con braccio da montare di marca specializzata.
Al di là di quello che offre il mercato, il giradischi deve essere silenzioso nel funzionamento, costante nel numero dei giri e in grado di essere il più insensibile possibile alle vibrazioni esterne. Dal mio personale punto di vista,un giradischi non dovrebbe essere automatico (in quanto gli automatismi sono soggetti a vibrazioni e quindi a rumore), tutt’al più avere lo stop a fine disco.
Un buon giradischi si giudica anche dal peso, e quindi è meglio diffidare di quelli che pesano poco perché significa che il piatto pesa poco.Un piatto pesante è garanzia di linearità e costanza della velocità di rotazione, ha un effetto volano e si arresta, quando spento il giradischi, lentamente.
Il motore deve essere robusto ma soprattutto affidabile e garantire, anche tramite servocontrollo, costanza delle velocità di 33 e 45 giri.Anche il telaio dove appoggia lo chassis, deve essere robusto e con frequenza di risonanza bassa al fine di non sporcare il messaggio musicale.
Per esperienza personale il telaio flottante è molto meglio che abbia come piedini delle punte coniche in acciaio, mentre il telaio rigido può trovare il suo sostegno su piedoni di sorbhotane.
Per quanto riguarda la trazione, quasi tutti scrafiano quella diretta, ma secondo me se il giradischi è ben costruito e giustamente pesante, non ha nulla da invidiare a quello a cinghia.
Resto del parere che il vendutissimo giradischi Technics SL 1200 utilizzato in molte discoteche, sia una ottima alternativa a tanti blasonati nomi del settore e con un ottimo rapporto qualità prezzo.Inoltre, per l’alto numero di pezzi venduti, anche l’assistenza e i ricambi saranno garantite per anni.

domenica 27 marzo 2011

La catena hi-fi di oggi

Ritorniamo a noi. Oggi al posto del giradischi vi è il lettore cd e o sacd o il dvd audio, registratori a cassetta e tuner sono scomparsi e forse hanno lasciato il posto a riproduttori MP 3 o ad Ipod.
Per anni le riviste hanno affermato che il componente più importante della catena di ascolto erano i diffusori. Poi i costruttori e giornalisti inglesi e americani hanno cominciato a dire che il più importante era il giradischi (la fonte di partenza del messaggio sonoro).
Io sono dell’avviso che tutti i componenti siano importanti perché lavorano in sinergia tra loro, e il risultato finale deve essere l’appagamento del fruitore della musica.
Sempre da Oltremanica, è venuta e per molti aspetti è ancora presente, l’idea che i minidiffusori siano il non plus ultra per ascoltare bene la musica. Secondo me, molto dipende dall’ambiente di ascolto.
Se non è ampio può essere indispensabile ascoltare con scatolette che hanno delle note basse ignobili ma
riproducono un suono trasparente (vorrei vedere se non lo fosse…), ma se una persona vuole un po’ confondersi e avere una sinergia ben amalgamata, può acquistare diffusori di dimensioni non lillipuziane.
 Coloro che ascoltano in ambienti da medio piccole a grandi dimensioni, possono rivolgersi a diffusori di grandezza adeguata, che tramite la voce dei loro altoparlanti, daranno tante e notevoli soddisfazioni, e allieteranno di ore ed ore di buona riproduzione le orecchie dei fruitori.

Il mio primo impianto

L’impianto base, fino all’avvento del cd, era composto da giradischi con relativa testina, amplificatore integrato o pre e finale e casse acustiche.A questo si aggiungevano sintonizzatore e registratore a cassette.
Ricordo ancora il mio primo impianto: era composto da piatto Lenco B55 con testina Shure M44, amplificatore Augusta da 25 watt per canale, registratore Jvc 1740 a caricamento orizzontale e cuffia Sennhaiser HD 414. Le casse erano quelle del compatto Lesa, inserite in un box piu’ grande insieme ad un altro altoparlante a larga banda.
Era bello sentire suonare i pochi dischi in maniera indistorta e più forte. Non era niente di particolare, anzi, era un impianto modesto, ma era soprattutto un desiderio esaudito. Ricordo che l’idea base era quella di fare un impianto di soli apparecchi italiani.
Per quanto riguarda il giradischi, era una scelta obbligata poichè la Lenco era l’unica marca italiana che produceva questi oggetti, per gli amplificatori esistevano gli Studio Hifi, gli Steg, gli RCF, i Galactron, gli Hirtel, i Lenco e pochi altri nomi, ma avevano la caratteristica di non essere presenti nei negozi della mia città, o di costare troppo, e quindi di superare il budget da me previsto per gli acquisti, che non doveva superare le 500.000 lire. Alla fine ne spesi 460.000, 20.000 in meno rispetto all’acquisto di un piccolo televisore a colori della Grundig che all’epoca era un best seller della categoria.
A quell’epoca nacque l’idea che chi non aveva un televisore a colori era un morto di fame, infatti tutte la famiglie avevano questo moderno elettrodomestico in bella vista e ne osannavano colori e cromatismi che venivano riprodotti, apparendo ai miei occhi come artificiali e sparati.
In ogni modo fino all’estate del 1986 avevo il mio televisorone in bianco e nero a valvole regalato nel 1976 a mia madre da una amica di famiglia e dall’86 in poi posseggo ancora da qualche parte, ma egregiamente funzionante, il mio primo tv color Panasonic da 22 pollici con cui è cresciuto mio figlio.
 

Riviste e categorie di audiofili

Riviste specializzate, ne ho acquistate e lette moltissime. 
All’ inizio leggevo Stereoplay, poi aggiunsi anche Hifi musica e Suono.Morta Hifi musica, uscì in edicola Hifi e in seguito Superstereo, infine nel 1981 Audioreview. Dopo diversi anni e decessi di riviste, nacque Fedeltà
del Suono e poi Stereo. Oggi le riviste rimaste sono tre, e quella che compro qualche volta, in particolare le sue guide, è Fedeltà del Suono.
Ciò che è rimasto si contende un mercato di poche decine di migliaia di affezionati, un numero irrisorio rispetto alle vendite della fine anni ‘70 primi ‘80, quando le tirature delle riviste superavano, per talune, 120.000 copie e potevano aprire anche uffici all‘estero.
L’hifi è ormai una passione di nicchia. E’ un mercato che è stato distrutto sia dalle riviste che dai distributori e rivenditori di apparecchi.
La sbornia hifi, ha visto costruttori sparire dopo pochi anni di attività. Riviste che pubblicizzavano e provavano prodotti, anche di scarsa qualità, ma dal rapporto qualità/prezzo sempre strepitoso. Era un mercato fatto di tanti zeri dopo la virgola, privo di distorsioni ma povero di suono.
 I grandi marchi giapponesi che avevano competenze tecnologiche enormi e bassi costi produttivi, durante l’anno potevano cambiare anche due volte i propri apparecchi in listino, o meglio ne cambiavano la sigla e l’aspetto estetico. Coloro che si salvavano da questo turbinio di cambiamenti erano pochi nomi tra cui Accuphase, Denon, Luxman, Stax e pochi altri.
Tutte le riviste non facevano che mietere elogi degli apparecchi in prova, i rivenditori vendevano hifi come se fosse prosciutto non garantendo un minimo di assistenza. Se un amplificatore smetteva di funzionare era meglio buttarlo e comprarne uno nuovo, certamente molto ma molto meglio del precedente, perché con meno distorsione o accoppiato in DC.
Funzionava cosi’, un po’ come oggi quando si tratta di computer o televisori. 
Dopo l’indigestione dei numeri, qualcuno cominciò a parlare di suono e così questo mondo si divise tra “ascoltoni” e i “misuroni”. I primi davano credito solo all’ascolto, i secondi ritenevano le misure e i dati fondamentali per un buon suono.
Ricordo un vecchio numero di SUONO dove si parlava estremamente bene di un integrato JVC con misure eccellenti e male di un preamplificatore Quad con pessimo risultato relativamente alle distorsioni. Peccato che il JVC, dopo un anno, sia scomparso dal listino e che il QUAD vi sia rimasto più di dieci anni: probabilmente gli acquirenti (e ancora felici possessori) hanno valutato che il suono dell’inglesino non sia stato molto male.
 
Con gli ascoltoni fecero la loro apparizione anche i “guru”, per i quali tutto ciò che era costruito in Giappone aveva un suono scarso, mentre ciò che era prodotto in Inghilterra o negli USA era eccellente. Guru che partivano dall’assioma che un impianto hifi deve costare per suonare bene (con tutto lo strascico dell’hifi end), gli stessi che per ascoltare una catena audio usavano gli accessori più allucinanti, gli accorgimenti più ingegnosi, e tutti col comune denominatore di essere piuttosto costosi. Ascoltare un impianto era quasi una esperienza mistica.
 
I tempi sono un po’ cambiati ed oggi misuroni ed ascoltoni hanno fatto pace e convivono abbastanza felicemente, forse anche perché il mercato si è fortemente ridotto.
In ogni modo per gli ascoltoni il rapporto qualità/prezzo è un indice di scarsa rilevanza.
Dire che un oggetto da 10.000 euro ed oltre ha un prezzo competitivo per come suona, è un' offesa al buon gusto e alla sensibilità della gente. E’ sufficiente dire “suona bene” (vorrei vedere…..) e con questo evitare inutili sproloqui, anche perché, sia chiaro, l’ascolto è legato a sfumature, poichè anche il medesimo oggetto da 500 euro riproduce la musica e la porge sicuramente in maniera differente, ma la sua funzione la svolge.
 

sabato 26 marzo 2011

Un po' di storia dell'hi-fi

Un componente hifi è un apparecchio che ha buone caratteristiche tecniche e che deve riprodurre bene musica, suoni e rumori.
Una testina deve possedere una buona linearità e separazione stereofonica.
Un giradischi deve avere modesti wow e flutter e rumble, gli amplificatori e i lettori cd, una buona risposta in frequenza e bassa distorsione, i diffusori buone caratteristiche tecniche e altoparlanti di qualità.
I tuner devono avere buon rapporto di cattura e poco rumore, i registratori a cassette e a bobine una risposta in frequenza ampia, costanza di prestazioni, buon rapporto segnale rumore e poca distorsione, oltre che ampia compatibilità con i supporti da registrare.
Questi due ultimi tipi di apparecchi sono quasi scomparsi dai punti vendita, i registratori a bobine si trovano solo usati, mentre quelli a cassetta si trovano nuovi col lumicino.
Esistono poi altri apparecchi come Dat, registratori audio cd e minidisc,preamplificatori e trasformatori fono, cuffie, equalizzatori, compressori, espansori di dinamica ed altri marchingegni elettronici, la cui peculiarità risiede nella buona risposta in frequenza e nel basso rumore di fondo.
Visto il mercato attuale, posso dire che alcune apparecchiature non vengono più prodotte e non sono più acquistate:si tratta di componenti che hanno fatto la storia dell’hifi ma anche di colossali flop, soprattutto se inseriti in un ambiente domestico.
Nel cimitero dell’hifi, il più illustre defunto è rappresentato dal registratore a bobine.
Per decine di anni questo è stato l’amico più fedele degli studi di registrazione delle radio e delle case degli audiofili più esigenti.La funzionalità di tali apparecchi, soprattutto negli ambienti domestici, era alquanto scarsa, per l‘imponenza dei medesimi, la lunghezza delle operazioni di cambio nastro, la conservazione dei nastri magnetici, ecc. ma le registrazioni dai dischi erano veramente molto simili agli originali e, obiettivamente, questi oggetti avevano un fascino particolare.
Marchi come Revox, Akai, Fostex, Pioneer, Tascam, Teac, e Technics hanno lasciato una impronta indelebile nella storia dell’alta fedeltà.La vittoria del registratore a cassette su quello a bobine nel settore domestico è stata a mani basse.
Se negli anni ‘60- primi ‘70 i registratori a cassette erano di qualità poco eccelsa, a partire dal 1974-1975 sono stati molto migliorati, sia dal punto di vista delle caratteristiche tecniche (risposta in frequenza più estesa, adozione di riduttori di rumore) che per l’affidabilità e funzionalità.

Milioni e milioni di compact cassette sono passate davanti alle loro testine sempre più aggiornate dal punto di vista tecnologico, ma purtroppo anche questa categoria di apparecchi sta morendo, rimpiazzata da altre forme di registrazione. Quando scomparirà del tutto, sarà veramente finita l’era della registrazione analogica domestica.
Nel mondo della registrazione sono passati come meteore tape decks come il BIC, un registratore che negli anni ‘70 permetteva di registrare normali cassette a velocità doppia, garantendo una migliore risposta in frequenza eminore rumore di fondo, l’Elcaset delle Sony e Technics che usavano un nastro di larghezza doppia e la DCC (Digital Compact Cassette) della Philips che, nonostante un mega lancio pubblicitario, è stata un flop epocale.
Il DAT che è un formato di registrazione digitale e che permette copie identiche dei supporti (cd e vinile) per i prezzi di gestione (cassette) è stato relegato agli studi di registrazione.
Registratori cd audio e minidisc rappresentano oggi solo una infinitesima parte del settore dell’hifi domestica, e definirli in stato di coma è un eufemismo.

Ormai le registrazioni avvengono tramite internet e le duplicazioni di cd si fanno col computer, magari tramite standard estremamente scarsi, come mp3 o addirittura mp 4.
Altri oggetti hanno abbandonato le case degli appassionati dell’hi-fi.
I sintoamplificatori che nel mercato americano spopolavano, in quello italiano non hanno mai trovato terreno fertile. E’ stato un peccato, perché il poter utilizzare un unico oggetto contenente tuner e amplificatore integrato, mi è sempre apparsa cosa intelligente, soprattutto per chi voleva affacciarsi a questo particolare mondo dell’elettronica. Oggi i sintoamplificatori presenti nelle case sono solo quelli a 5 o 7 canali dell’home theatre che è bene chiarire, non è la stereofonia.
La DBX costruiva compressori/espansori di dinamica e riduttori di rumore per registratori. Gli equalizzatori che avevano visto un boom tra la fine degli anni ‘70 e i primi ‘80, hanno abbandonato definitivamente le catene di  ascolto, così come i timer tipici dei coordinati di un certo prezzo e la cui utilità era molto, molto scarsa. Anche i rack hanno fatto il loro tempo invadendo le abitazioni con la loro estetica accattivante ma con prestazioni sonore non all’altezza, perché è impossibile che una medesima marca produca contemporaneamente buoni giradischi, ampli, sinto, registratori e diffusori. Questa prerogativa era tipica solo di alcune marche particolari,di alta classe e di prezzo difficilmente accessibile.
I compressori/espansori di dinamica (compander) erano nati per incrementare la dinamica di ciò che veniva ascoltato. Gli equalizzatori, certe volte forniti di analizzatore di spettro, avrebbero avuto lo scopo di rendere più lineare la risposta in frequenza nell’ambiente di ascolto, ma quasi sempre venivano usati come sofisticati controlli di tono con indubbio affaticamento della sezione finale degli amplificatori.
I ridutttori di rumore esterni quali il Dolby e il DBX, sono solo un lontano ricordo dei pochi che li hanno potuti utilizzare insieme ai propri registratori soprattutto a bobine.

Istruzioni per l'uso di una passione


Passione pura. Passione ormai nata 35 anni fa quando, promosso a Giugno, posto tra la scelta, da parte di mia madre, tra un motorino e uno stereo, scelsi quest’ultimo. Era un compatto stereo con cambiadischi e puntina piezoelettrica da 5+5 watt di potenza musicale e con due casse fornite di altoparlante bicono da 20 cm. (costo 50.000 lire), che mi ha accompagnato fino all’acquisto del primo impianto hifi del luglio 1978.
Che dire? Gli hobbies e le passioni ci accompagnano nella vita e sono importanti perché oltre a svolgere funzioni antistress, ci fanno crescere e accrescono attenzione ed esperienza.
Altri piacevoli passatempi hanno accompagnato la mia esistenza, come ad esempio la pesca, la collezione dei francobolli e la fotografia, ma solo quello dell’hi-fi, ha avuto una continuità definibile come patologica.Mentre quando ero più giovane ero interessato quasi a tutta la tecnologia elettronica, oggi quasi mi commuovo guardando vecchi apparecchi hi-fi, e mi si illuminano gli occhi nell’osservare i nuovi apparecchi esposti nei pochi negozi di alta fedeltà ancor oggi esistenti.

Si invecchia e forse l’hifi è una passione che riguarda quasi solamente coloro che hanno superato gli “anta”, ma vedere quelle “creature” esposte negli scaffali dei negozi e degli appartamenti, mi fa tanta tenerezza, soprattutto se sono stati usati.

Si tratta di apparecchi di vario tipo e consistenza, con anni di lavoro sulle spalle, che hanno un cuore, e quel cuore deve aver suonato affinchè sia stato in sintonia col cuore dei precedenti possessori e possa esserlo con i nuovi. Si tratta anche di nuove elettroniche che sai, affinchè ti mostrino il loro cuore, dovranno essere trattate con la giusta sensibilità, lasciandogli il tempo di crescere e perdonandogli i periodi piu’ bizzarri. Perché la vera passione non guarda se il prezzo di quel componente è basso o alto, sa solamente che di questo vuole ascoltarne l’anima.

E’ intuitivo che un amplificatore di qualche migliaio di euro suoni meglio di uno che ne costa poche centinaia. Non è evidente che quest’ultimo, se ben calibrato con gli altri componenti della catena, suoni molto bene ed offra nel complesso, una prestazione musicale più che valida.La passione è questa: tirare fuori dai singoli componenti e quindi da tutta la catena, la migliore musicalità possibile dell’impianto, un impianto costruito secondo le proprie esigenze economiche e sonore.

In una società multimediale dove siamo bombardati da immagini, suoni e colori che spesso sfociano nella artificiosità, dove i suoni sono proposti (per essere alla moda) con sette diffusori, dove molti vogliono vedere e ascoltare in stanze di quindici metri quadrati, dove gli schermi televisivi se non sono di almeno 40 pollici vengono considerati meno che niente, ecco, in un mondo che vive più sull’apparenza che sulla sostanza, l’hi-fi (intesa come ascolto stereofonico) può rappresentare una passione particolare, che permette di raggiungere buone sensazioni musicali non inficiate da artificiosità particolari e, soprattutto, in grado di creare un'oasi personale, indispensabile in un mondo che ti chiede di correre anche se vuoi soltanto camminare.
Questa mia considerazione può valere per tutti gli hobbies che hanno in sé una propensione alla calma, alla meditazione e alla ricerca, e quindi, in senso lato, ad una crescita della propria vita.